mercoledì 17 gennaio 2007

Armonia geometrica (La ricerca della felicità)

Da un lato, abbiamo una storia classica della “leggenda” americana: il mito del self made man. Dall’altro, un livello qualitativo molto elevato sia dal punto di vista artistico (in primis, Will Smith e suo figlio) che da quello tecnico (sceneggiatura, fotografia, musica, montaggio... sembra tutto ineccepibile). Dall’altro ancora, abbiamo Gabriele Muccino, un “giovane” regista italiano che sa fare il suo mestiere (perché di questo si tratta) sia in patria che oltre oceano, dimostrando finalmente che unire la lezione dei grandi registi italiani del passato con la cultura americana è possibile, e con risultati brillanti. Così formiamo un triangolo equilatero i cui vertici, combaciando perfettamente, creano un film che ci sa coinvolgere, a livello emotivo, su più di un piano: per la sua storia così umanamente commovente (e vicina a noi più di quanto sembri), per la bravura indiscussa di Will Smith, per tutto ciò che sta intorno ed è sapientemente diretto da un regista che di suo, a livello verbale, ha evidenti difficoltà di espressione, ma a livello di linguaggio cinematografico-visivo sa farsi capire e sa comunicare alla grande. Assolutamente consigliato agli spettatori che non hanno paura d’immedesimarsi, soffrendo e sperando col protagonista… E assolutamente consigliato ai giovani registi e sceneggiatori italiani: ora è dimostrato che la loro ricerca della felycità può tradursi in qualcosa di ben fatto per il Cinema e per chi lo ama, purché ci si metta a… correre.

Peccato: si poteva fare meglio (Eragon)

La trasposizione cinematografica di un’opera letteraria presenta sempre insidie e difficoltà, ma non è un’impresa impossibile. Si può ottenere un risultato godibile e soddisfacente in svariati casi: sia che si mantengano i personaggi principali e alcune tracce fondamentali, discostandosi per due terzi dal testo originale (es. Il diario di Bridjget Jones), sia che si abbia un’aderenza totale che traduca perfettamente in immagini l’intero libro (es. Io non ho paura), sia che la riduzione, seppur evidente, resti fedele non solo al testo, ma soprattutto allo spirito e alle suggestioni di cui è impregnato (es. l’ultimo Orgoglio e pregiudizio)… Perché le cose funzionino serve principalmente una cosa: l’ispirazione… E questa sembra mancare quasi totalmente sia allo sceneggiatore che al regista di Eragon. Certo, non possiamo pretendere che a dirigere questi film di genere si trovi sempre un appassionato amante come Peter Jackson… ma persino una pellicola con minori pretese come Dragonheart (1996) fa miglior figura come storia di draghi. Invece qui non bastano il cast (secondo me) azzeccato e i buoni effetti speciali a supplire la regia (ripeto) poco ispirata e le lacune che la storia presenta (peggiorate da un montaggio i cui tagli risultano a volte troppo evidenti e ingiustificati). Alla base si aveva la storia di un viaggio di formazione volto a trasformare un giovane tranquillo in un nobile ed eroico Cavaliere dei Draghi. Passando attraverso un’empatia profondissima con la sua dragonessa, incontri con personaggi misteriosi e potentissimi, numerosi pericoli e il difficoltoso apprendimento non solo dell’arte della spada, ma anche delle arcane e complesse parole magiche, si arrivava ad un’epica battaglia che ridonava speranza ad un mondo vessato da un temibile e malvagio imperatore… Tutto questo bel materiale classico, in cui affondare a piene mani, si riduce a 104 minuti (quale film oggi dura meno di 2 ore?) in cui tutto precipita, con giustificazioni appena abbozzate, verso la battaglia finale, in cui i personaggi non acquistano lo spessore dovuto, in cui la semplificazione della storia la priva anche del suo fascino originario. Buono per spettatori dai 6 ai 14 anni; gli altri avranno senza dubbio visto, e/o avrebbero voluto vedere, di meglio.
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