venerdì 8 gennaio 2010

SHERLOCK HOLMES

Fate come me. Sfidate la tempesta di neve, il freddo, le scivolate sotto i portici o sui marciapiedi e correte al primo spettacolo utile, magari al primo del pomeriggio, così sarete in quattro gatti e vi sentirete dei veri appassionati.
Ne sarà valsa comunque la pena se in sala stanno proiettando l'ultima fatica di Guy Ritchie, il regista che azzecca una pellicola ogni 5 e, per nostra fortuna, stavolta si tratta di quella buona.
In questo SHERLOCK HOLMES troverete tutto quello che avreste sempre voluto vedere in un film sul famoso investigatore e non avete mai osato chiedere.
Naturalmente parlo a quelli di voi che amano un pizzico di scoppiettante commistione di generi e l'intrattenimento ben confezionato, capace di divertirci dosando humor all'inglese con montaggio all'americana.
Se siete dei puristi, affetti da nostalgia per la mantellina e il cappello a quadretti dell'icona Basil Rathbone (classe 1892), se vi aspettate, che so, un Dottor Watson bassotto e tarchiatello, se non vedete l'ora di sentire nuovamente pronunciata la leggendaria (ma non letteraria) frase: “Elementare, Watson!”, evitate questo film come la peste per non avere cocenti delusioni.
Se invece vi piace Lo Spettacolo, allora vi dirò che i tre sceneggiatori, Michael Robert Johnson, Antony Peckham e Simon Kinberg, pare abbiano fatto a gara per tirare fuori il loro miglior brio e poterci regalare azione e atmosfera, intrigo e commedia, tensione e sorrisi, e mantenere viva la nostra attenzione dall'inizio alla fine.
Ai nostri sensi più coinvolti dal grande schermo nulla è negato.
Per l'udito abbiamo: da un lato, le schermaglie tra i personaggi, dove, ad esempio, le famigerate deduzioni del nostro eroe si accompagnano a dialoghi vivaci, rapidi e godibili.
Dall'altro la colonna sonora di Hans Zimmer, un collaudato professionista, che qui mixa giustamente citazioni come il banjo alla Spaghetti western e il refrend alla Attenti a quei due, con autocitazioni che evocano atmosfere da Codice Da Vinci e Pirati dei Caraibi.
Per gli occhi è domenica: ci rifacciamo la vista tra costumi ottocenteschi ben rivisitati e belle scenografie sia d'interno che d'esterno, tra inseguimenti, esplosioni e lotte, tutte ottimamente coreografate, dove regista e montatore fanno anche sfoggio, ma senza mai sbavare, di un “sapiente uso del rallenty” (adoro usare questa espressione! :-)).
I maschietti si rifaranno la vista anche su occhioni e labbrone di Rachel McAdams... ma a noi femminucce è toccato il meglio, col più fico Dottor Watson della storia del cinema, un “solo sulla carta” improbabile Jude Law.
Su pellicola, invece, risulta perfetto e credibile, a suo agio come generosa spalla, impeccabile persino nei dettagli di stile, come un accenno di sorrisetto sotto i baffi o un sopracciglio alzato.
So di essermi dilungata più del solito, ma devo necessariamente spendere due parole per il protagonista: quell'eccezionale faccia da schiaffi di Robert Downey Jr.
Robert chi?” avreste detto negli anni Novanta, quando la sua fedina penale era più animata della sua carriera e il suo volto si andava segnando per l'abuso di alcool e droghe.
L'attore, che è saputo risorgere dalle sue ceneri, è tornato alla ribalta nel 2000, partecipando alla serie televisiva Ally McBeal, da cui ha spiccato il volo per attraversare l'ultimo decennio in evidente stato di grazia.
Nei suoi occhi scuri arde una vena di pura follia non lontana dal vero fuoco sacro.
Oltre a ripescare gli episodi (dal 68 al 90) del telefilm, v'invito alla visione di almeno 3 titoli cui sono affezionata: KISS KISS BANG BANG (2005), TROPIC THUNDER (2008) e il non sottovalutabile IRON MAN (2008), spettacolare anche per la performance del suo interprete.
In attesa del sequel di quest'ultimo, assolutamente da non perdere l'attuale SHERLOCK HOLMES, vero antesignano di CSI: Downey Jr. l'ha ridisegnato con caratteri assolutamente personali, ironici e intriganti che, come avrete capito, mi sono piaciuti assai.
Di questo film, persino i titoli di coda (se apprezzate un minimo l'illustrazione) vale la pena di guardare.


martedì 5 gennaio 2010

Piovono polpette VS La Principessa e il Ranocchio

Non c'è verso di schivarla. Siamo destinati a subire la “nuova frontiera” del cinema, ovvero il 3D.
In attesa di abituarci a sforzare la vista e forzare il portafogli - ma davvero un paio di occhiali di plastica scura, persino usa e getta o da restituire all'uscita (!), può giustificare il prezzo astronomico del biglietto? - si può tenere i piedi in due staffe.
Materiale a iosa ci viene fornito, per cominciare, dal rigoglioso e rifiorito panorama del cinema d'animazione, che sforna invitanti pellicole per tutti, ma proprio tutti tutti, i gusti.
Ad esempio, questo Natale potevamo schizofrenicamente dividerci tra tradizione e innovazione, alternando tuffi nel passato bidimensionale con La Principessa e il Ranocchio, a balzi nel futuro computerizzato con Piovono polpette 3D.
In entrambi i casi si può godere di un prodotto di una certa qualità, ciascuno a modo suo.
Sul genere classico, dai bei disegni dal sapore retrò, per chi predilige l'effetto matita al tratto digitale, per chi ha amato il jazz degli Aristogatti e non si stufa di sentire una canzone dietro l'altra, per chi aspetta caparbiamente l'happy ending, è assolutamente consigliato il primo dei due lungometraggi.
Anche se, in tanto tradizionalismo non mancano le stranezze.
La bella ragazza di New Orleans che, invece di sognare ad occhi aperti e aspettare il principe azzurro, lavora dalla mattina alla sera, convinta che solo con l'olio di gomito potrà realizzare il suo sogno imprenditoriale, potrà stranamente insegnarci un po' di tenacia.
Il cattivo mefistofelico che pratica magia nera e vodoo è stranamente da brivido al punto giusto, la bionda viziatissima che sogna il matrimonio d'interesse è stranamente simpatica, amichevole e generosa, la morte di uno dei buoni è stranamente in agguato, il principe, seppur bello come al solito, è stranamente spiantato, fannullone, libertino e perditempo.
Insomma, tra una strizzata d'occhio al passato e una al presente, ci si può far cullare un pochino nei “buoni sentimenti alla Walt Disney” e ogni tanto male non fa.
Poi i bambini applaudono a fine pellicola (io c'ero).
Per chi ha fame di qualcosa di più sostanzioso, con meno romanticismo e più azione, personaggi da telefilm americano e ottime battute, futuristiche invenzioni e gustosi tormentoni, sceneggiatura più corposa e medesimi buoni sentimenti, ma meglio elaborati, è preferibile orientarsi sulla pioggia di polpette giganti.
Delizioso il protagonista, lo scoppiatissimo Flint, giovane scienziato geniale che nel suo essere timido, incompreso e pazzoide ha comunque un qualcosa di davvero fico.
Singolare, per un cartone, il fatto che nutra rancore e sogni di rivalsa abitualmente affibbiati ai cattivi, e in particolare agli scienziati pazzi cattivi, mentre lui, antieroe alle prese con l'invenzione del secolo che rischia di distruggere l'umanità per eccesso di modificazione genetica, è decisamente buono e meno imbranato di come solitamente dipingono certi topi di biblioteca.
Oltre all'evidente metafora sul consumo sfrenato ed eccessivo di cibo, occhio alla ricerca dell'approvazione paterna: è iniziata con Nemo e prosegue di pellicola in pellicola la rivalsa dei papà, per troppo tempo messi in ombra da super-mamme protagoniste che bastano a se stesse e che quindi ora hanno bisogno di una rimarcata alla loro utile identità educativa.
Detto questo, lascio scegliere a voi il vincitore della sfida dimensionale. Ai posteri...