lunedì 7 giugno 2010

LA NOSTRA VITA - Mah...

Decisamente Daniele Luchetti ci ha presi per i fondelli, facendoci credere che la canzone simbolo di questo film sia “Anima fragile” di Vasco Rossi, mentre lui aveva probabilmente in testa, girandolo, “Viva l'Italia” di Francesco de Gregori.
Perché, apparentemente, questa dovrebbe essere la storia di un uomo innamorato e padre di famiglia che perde la trebisonda dopo un dramma familiare, trovando poi la forza di andare avanti per amore dei figli... ma, in realtà, per tre quarti del film si parla di pasticci tutti evitabili con un minimo di buon senso e di palazzine da costruire grazie alle contraddittorie malefatte “tipiche” del Bel Paese... e alla fine non si capisce dove il tutto voglia andare a parare.
E così, “nell'Italia derubata e colpita al cuore”, “l'Italia assassinata dai giornali e dal cemento”, “l'Italia che si dispera, l'Italia che si innamora, l'Italia metà dovere e metà fortuna”, il regista fa muovere il sempre bravo (anzi bravissimo) Elio Germano che dà anima e corpo ad uno dei personaggi più stupidi del cinema di casa nostra.
Scusate la stroncatura, che certo l'intensa interpretazione di Germano non meriterebbe, ma non basta la bravura di un attore a fare bello un film e soprattutto a rendere credibile un personaggio in cui, a conti fatti, nessuno vorrebbe mai immedesimarsi.
Cattivo o veramente stronzo non è, e questo già gli toglie fascino.
No, il protagonista è solo un po' sempliciotto e capiamo fin dall'inizio che l'unico lato positivo è che vuole bene alla sua prole, ma che, nonostante questo, farà solo cazzate per tutta la durata della pellicola.
Senza avere la “scusante” di essere un disoccupato, veramente depresso, senza amici e famiglia disposti a dargli una mano, insomma senza essere davvero in un vicolo cieco come i personaggi di Ken Loach (che Luchetti non riesce ad imitare neanche lontanamente), s'incasina da solo la vita con le seguenti modalità:
- sceglie l'omertà non denunciando un incidente mortale sul posto di lavoro,
- ricatta un suo amico per ottenere un subappalto,
- per avviare l'impresa chiede i soldi ad uno spacciatore,
- assume tutti extracomunitari in nero,
- non è capace di gestire i ritardi e i soldi non bastano,
- si fa prestare degli altri soldi dai fratelli,
- per terminare il lavoro in tempo assume degli altri lavoratori in nero, però italiani.
E di qui il grande punto interrogativo: che cosa vuole dirci questo film?
Forse che er borgataro muratore romano de Roma, che sta a soffrì cantanno a squarciagola er mitico Vasco, rappresenta l'italiano medio?
Mah!
O forse che er borgataro muratore romano de Roma anziché continuare a mantenere la famiglia come faceva prima del dramma (la moglie a casa sfornava bambini senza bisogno di lavorare) rappresenta l'italiano medio subito pronto a ricattare e prendere soldi dalla malavita pur di comprare la Wii ai figli prima che sia Natale?
Mah!
O forse che tutti noi italiani medi abbiamo come vicino di casa uno spacciatore pronto a darci 50.000 euro perché in realtà è il buon Commissario Montalbano sulla sedia a rotelle, va a messa, gli piacciono i bambini e si può usare anche come baby sitter?
Mah, anzi MA PER FAVORE!
O forse che il lavoro in nero è indispensabile per chiunque, ma che se uno vuole una cosa fatta bene i lavoratori da mettere in nero devono essere italiani e non extracomunitari?
Mah all'ennesima potenza!
Non si sa. Davvero, al di là dell'ottima recitazione degli attori (anche di Raul Bova :-)), il senso della sceneggiatura è incomprensibile.
L'unica cosa che si capisce, anche quella da subito, è che l'italiano medio, anzi, chiunque si salva solo se ha una famiglia alle spalle che fa cordone nei momenti di difficoltà (e grazie a Dio spesso ce l'ha sul serio).
Il protagonista, invece, lo capisce solo vagamente e non si è neanche sicuri che abbia imparato qualcosa dai macelli che, avendo l'unico obiettivo dei soldi come panacea di ogni male, è andato combinando per tutto il film.
Che s'intitola “La nostra vita”. Nostra? Mah...

venerdì 4 giugno 2010

THE ROAD – in viaggio verso il futuro


“Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo...”
Questo l'incipit letterario di The Road, di Cormac McCarthy, che ben rende, nella sua essenza, anche l'atmosfera di ansia e di gelo di questa trasposizione cinematografica.
Un'ansia e un gelo assolutamente funzionali e coerenti alla durezza della storia narrata, che ci restituiscono con fedeltà toccante la morsa che stringe corpo e anima nell'inverno post-catastrofico fotografato da McCarthy nel suo libro.
Per tutto il film sono inevitabili la tensione e il brivido freddo che ci serpeggiano addosso, lungo la schiena e nella mente, poiché la trama prevede un estenuante viaggio e una continua lotta per la sopravvivenza di un padre ed un figlio alle prese con un'umanità in cui i “buoni” si contano sulla punta delle dita ed i “cattivi” praticano nella realtà il peggiore degli incubi che una società possa attuare...
Ma non appena l'orrore si affaccia sulla scena, il regista ci mostra solo quanto basta a farci arpionare il bracciolo della poltrona per qualche istante. Non gli interessa spingere sull'acceleratore del macabro oltre la soglia del sopportabile (rischio che ha saputo evitare con grande sobrietà e rigore): vuole piuttosto che lo spettatore veda solo quello che gli stessi personaggi vedono e nello stesso lasso di tempo, a volte rapidissimo.
Così la nostra immedesimazione e il nostro coinvolgimento risultano più completi ed è meno offuscata la nostra capacità di intuire che oltre il grigio e la paura c'è dell'altro, qualcosa di molto profondo e radicato nell'intensità di questa storia e dei suoi protagonisti e che merita una visione al cinema.
Per evitare spoiler il più possibile, dirò che il messaggio di speranza di cui molti parlano sta nell'eredità: quello di buono che lasciamo alle generazioni future non va sprecato e anzi viene assorbito più di quanto noi stessi crediamo possibile e addirittura migliorato.
Davvero l'allievo supera il maestro e le colpe dei padri non ricadono sui figli, ma anzi trovano riscatto nello sguardo puro di un bambino.
Nota di merito per la bravura del “vecchio” Viggo Mortensen e del giovane Kodi Smit-McPhee... E nota di demerito per la distribuzione italiana che ha catapultato in piena primavera un film così prettamente invernale. Non lasciate che questo vi scoraggi. Buona visione.
Pubblicato anche su MyMovies