sabato 25 settembre 2010

SHREK ci lascia... insoddisfatti

Nelle sale potete ancora trovarlo e i vostri figli ancora vi chiedono di portarli a vederlo.
Così ce li dovrete accompagnare, anche se già il terzo capitolo non vi era piaciuto granché con gli sceneggiatori che denotavano un netto calo di fantasia proprio nel territorio dove la fantasia dovrebbe regnare sovrana.
E se Shrek 3 non reggeva minimamente il confronto con i primi due, questo quarto e (si spera) ultimo episodio dell'orco più famoso del pianeta soddisfa a malapena i criteri minimi per giustificare la spesa del biglietto (sempre più esorbitante).
Con l'inserimento di un unico nuovo personaggio (un cattivo da manuale senza infamia e senza lode) e lo spostamento dell'azione in una realtà “altra” (con rischio di paradosso temporale che vi costringerà a dare spiegazioni in corso ai più piccini), la DreamWorks stavolta perde la gara dei sequel contro la Disney-Pixar (Toy Story 3 è un capolavoro).
Shrek con la crisi di mezza età e Fiona a capo di orchi guerrieri, ma sempre principesca, sono di nuovo alle prese col “bacio di vero amore”, però senza più brio, irriverenza, originalità.
Voto personale 2 stelle e ½, ma ai vostri figli piacerà, con commenti che oscilleranno da “Ve l'avevo detto io che era bello!” a “Beh, pensavo peggio.”
Chi si accontenta...
Pubblicato anche su MyMovies

martedì 7 settembre 2010

IL CONCERTO VS Il rifugio


Accostamento per differenze in questa duplice recensione dove i film presi in esame hanno in comune solo la brevità del titolo, in entrambi i casi di due parole una delle quali è l'articolo "il".
Per il resto è come paragonare un cigno ad un ramarro.
Quelli di voi che preferiscono la seconda bestia alla prima, possono sicuramente apprezzare Il Rifugio, un esempio eclatante di come giovani autori francesi, credendo di avere talento, tentino di replicare l'arte di Truffaut e la poesia di Rohmer senza minimamente riuscirci.
Si buttano sull'intimismo di maniera, convinti che, per accontentarci, basti mettere in scena 4 gatti facendoli drogare, ingravidare, morire, accoppiare (secondo le tre possibili varianti: etero, omo e bisex), senza curarsi che il tutto, data la povertà dei dialoghi, risulti privo di reali conflitti interiori mai veramente approfonditi.
Ma questi francesi si sbagliano. Noi spettatori vogliamo di più!
A molti di noi piacciono i cigni, quei superbi animali che da brutti anatroccoli si trasformano in meraviglie della natura.
A chi cerca la meraviglia consiglio dunque IL CONCERTO, ancora reperibile in seconda visione, una pellicola che non ha bisogno né di effetti speciali, né di fotografia patinata, né di attori famosi per essere considerata un film bello come un cigno.
Il genio ironico di Radu Mihaileanu (già autore dell'originale Train de vie) ci offre ancora una volta la possibilità di sorridere (o anche di ridere) dei suoi affreschi sociali, microcosmi nel macrocosmo, che tanto bene sa dipingere con brevi e fresche pennellate. Accostando il suo talento per la commedia dolceamara ad emozioni forti e commoventi, è capace di esaltare lo spettatore.
Col solito gusto per la sceneggiatura brillante, sagace e di qualità, che narra di simpaticissimi disperati votati per sopravvivenza ad imprese impossibili, il regista ci coinvolge stavolta nella realizzazione di un improbabile concerto per violino (il N. 1 di Čajkovskij) ad opera di un'eterogenea, caleidoscopica e del tutto fittizia orchestra del Bolshoi di Mosca.
A metterla insieme, per poter suonare a Parigi sostituendo quella vera, è il maestro Andreï Filipov, un tempo grande direttore di fama mondiale, ora umiliato e degradato per mano del regime comunista dall'epoca di Brežnev.
In cerca di riscatto personale e con un duplice e profondo desiderio di chiudere i conti con il proprio passato, il maestro viene fiancheggiato da sublimi personaggi di contorno, che a tratti gli rubano la scena, in una girandola di avvenimenti sempre più incalzanti dove l'altro onnipresente protagonista è la passione.
In questo caso, la passione che solo la Musica con la "M" maiuscola sa ispirare, che ci travolge fin nel profondo e che qui trova la sua massima espressione proprio nel coinvolgente e straordinario concerto del titolo.
Un concerto che consiglio anche al regista François Ozon: che esca dal suo miserabile rifugio e lo vada a vedere ed ascoltare per capire come va fatto un film.