venerdì 2 settembre 2011

DETECTIVE DEE - si è visto di meglio

Avvolti nel mito di film pregevoli e spettacolari quali La Tigre e il Dragone, La Foresta dei Pugnali Volanti e, perché no, Kill Bill, si va ben predisposti a vedere questo "Detective Dee e il mistero della Fiamma Fantasma", sempre che si apprezzi un minimo il genere orientale, coi suoi bei costumi, gli intensi primi piani e i combattimenti "aerei" dalle caratteristiche coreografie.
Ora, coreografie e scenografie di certo non deluderanno, come pure i volti esotici e non privi di fascino degli attori.
Invece la storia, che mischia un po' di Fantasy a CSI, non convince.
C'è da chiedersi come mai la critica ufficiale abbia tanto osannato questa pellicola, visto che l'intreccio maccheronico (più che machiavellico) di suggestioni tipiche del sollevante e indagini pseudo-sherlockiane striate di magia risulta abbastanza ridicolo e confusionario.
Sicuramente si poteva fare di meglio, evitando almeno di farci intuire chi era il colpevole fin dall'inizio.


martedì 30 agosto 2011

LE AMICHE DELLA SPOSA - Un inarrestabile ciclone di risate

Quand'è che una commedia funziona? Facile: quando, appena fuori dal cinema, ti metti a ripetere le battute migliori con gli amici.
Se poi fai la stessa cosa anche il giorno dopo, aggiungendo quello che la sera prima avevi dimenticato di citare, allora vuol proprio dire che quella commedia ha una marcia in più.
Questo è, insospettabilmente, il caso di LE AMICHE DELLA SPOSA, una pellicola a cui, sulla carta, non si darebbe credito più di tanto.
Un demenziale su un disastroso addio al nubilato con comiche in gonnella?
"No, grazie!", verrebbe da dire, perché abbiamo già i terribili maschiacci a cavalcare l'onda del "genere" e questo film poteva anche risultare una starnazzante imitazione di Una notte da leoni tinta di rosa confetto.
Quando, però, alla produzione/supervisione abbiamo quel geniaccio alternativo di Judd Apatow, bisogna sempre aspettarsi qualcosa di diverso dal solito.
Apatow si sta distinguendo nel panorama d'oltreoceano con un tocco tutto suo, che usa per personalizzare ogni commedia che di volta in volta scrive e/o dirige e/o produce.
A partire dalle tematiche, non esattamente banali, che si "permette" di affrontare col sorriso sulle labbra (si vedano ad esempio 40 anni vergine, Molto incinta, Funny people), passando per una comicità che alterna uno humor tutto da interpretare a gag grevi e sguaiatissime, Judd il terribile si diverte a punzecchiare il pubblico, quasi infastidendolo mentre, contemporaneamente, lo fa ridere a crepapelle.
Si diverte anche a scovare talenti e a lasciargli ampio margine di azione.
Dopo Steve Carell e Seth Rogen è il turno della bella e talentuosa Kristen Wiig, attrice televisiva a cui Apatow ha addirittura chiesto di scriversi una sceneggiatura addosso.
Una sfida coi fiocchi, che lei ha accettato (insieme alla sua collega Annie Mumolo, parimenti inesperta su questo fronte) impiegando ben 4 anni per portarne a termine la scrittura.
Con un risultato impeccabile ed esilarante.
Gag, battute, smorfie e situazioni paradossali si susseguono a buon ritmo, lasciandoci spazio tra una risata e l'altra, quel tanto che basta a riprendere fiato e rimanere estasiati dalla bravura degli (delle) interpreti, in primis della protagonista (la Wiig, appunto).
Questa biondina esile e raffinata, dai dolci occhi blu e dal sorriso radioso, è stupefacente come imbranata sfigatissima, che una ne pensa e cento ne combina, rischiando di passare alla storia come la peggior damigella di nozze del cinema americano... ma anche, assolutamente, la più irresistibile.
In un momento in cui tutta la sua vita sta andando a rotoli, la sua migliore amica la aggrega ad un improbabile (e impareggiabile) gruppo di altre "tipe da manuale" per capitanare l'americanissimo "ambaradan" che precede le nozze. In aperta rivalità con la Miss Perfezione di turno, che ambisce a rubarle ruolo e amica, Annie (questo il nome del personaggio) sarà causa e vittima di un disastro dietro l'altro in un'apoteosi di situazioni imbarazzanti che solo la risata può rendere sopportabili.
A questo proposito, nonostante lo scheletro del film sia solidamente "classico", vengono qui sfatati parecchi miti (hollywoodiani e non), a partire dal fatto che la comicità femminile può stare al passo di quella del "sesso forte", reggendo in credibilità e bravura anche su terreni rischiosi come le terribili "gag da gabinetto".
Vedere per credere.

giovedì 25 agosto 2011

HARRY POTTER – Ultimo atto

Ha abbandonato le sale da poco più di una settimana l'ultimo capitolo cinematografico dedicato alla saga del maghetto più famoso del mondo e i fan si chiedono, indecisi, se sentirne la mancanza o meno.
L'exploit letterario quasi senza precedenti nato dalla penna della Rowling ha ridato linfa vitale al genere fantasy in toto e, in questi ultimi 15 anni circa, se ne sono rinverditi i fasti in tutte le sue sfaccettature, con la rinascita di draghi, vampiri, licantropi, demoni... e chi più ne ha più ne metta.
Il cinema ne ha approfittato a mani basse con produzioni più o meno fedeli al testo, di varia qualità e alterno gradimento.
In merito alla saga di Harry Potter, si può dire che lo sceneggiatore del quinto episodio (L'ordine della Fenice) Michael Goldenberg firma forse uno dei migliori adattamenti, mentre allo sceneggiatore ufficiale Steve Kloves riconosciamo un ottimo lavoro di media (eccellente nel caso de Il Prigioniero di Azkaban), ma non perdoniamo lo scivolone del deludente Il Principe Mezzosangue.
Con I Doni della Morte - Parte II chiude degnamente, con fascino abbastanza agguerrito e tormentato, l'intero ciclo, grazie anche alla buona regia del veterano della serie David Yates.
Tutto sommato, dunque, un ultimo capitolo più che dignitoso, di buon impatto sia visivo che emotivo e con una più che discreta aderenza al testo.
Forse si sarebbe preferito qualche azzardo ancora più toccante o mirabolante, ma a volte l'eccesso stona e il profilo mantenuto per questo ottavo film di Harry Potter risulta più che apprezzabile.
Anche per gli appassionatissimi era forse tempo che si arrivasse a degna conclusione e così è stato.
Molto materiale scritto e filmato ci resta in memoria, il prologo della colonna sonora composto da John Williams ci ronza in testa e un piccolo solco a forma di HP ci riga il cuore.
Un pochino, solo un pochino, ne sentiremo la mancanza, nonostante tutto.
Goodbye, baby, goodbye.

mercoledì 24 agosto 2011

CAPTAIN AMERICA – il bravo ragazzo americano

Mosse le doverose critiche 1. al volto dolcissimo, ma eccessivamente inespressivo del bel Chris Evans (sfoggiava maggiore mobilità facciale come “Torcia Umana” ne I Fantastici 4) e 2. alla scelta di confezionare il film come lunga premessa al successivo capitolo dedicato ai “Vendicatori”, ammetto che questo CAPTAIN AMERICA non mi è dispiaciuto del tutto.
Risulta assai migliore il primo tempo del secondo, con l'ampio spazio dedicato alla costruzione del personaggio e alla nascita di un eroe.
La
scelta degli autori appare coraggiosa e per certi versi originale in un film ispirato ai fumetti, dove solitamente (tranne in rarissimi casi) la trasformazione di un uomo comune in supereroe avviene con una manciata di sequenze che non durano più di tanto per non togliere minuti di pellicola all'azione, allo scontro con l'antagonista, al salvataggio del pianeta.
Qui, invece, se la prendono comoda per ricreare in modo gradevole, tra il serio e l'ironico, l'atmosfera “tipicamente” americana degli anni '40 (con i suoi bravi ragazzi e l'enfasi per lo Zio Sam che chiama alle armi) e per donare un po' di sfaccettature al giovane Steve Rogers, futuro Captain America, di modo che, vista la sua bontà così pura e cristallina, non rischi addirittura di annoiarci.
A movimentare il tutto, oltre alla Seconda Guerra Mondiale, c'è ovviamente il nemico di turno, il crudelissimo Teschio Rosso, che supera in eccesso di follia persino i suoi “colleghi” nazisti.
Come sempre, ottima la scelta di far impersonare il malvagio assoluto da Hugo-Agente Smith-Weaving che, come ha detto qualcuno, ha la faccia da super cattivo persino quando interpreta Re Elrond ne Il Signore degli Anelli.
Aspettiamo dunque il sequel, dove l'ultra potenziato e umanissimo Captain America si unirà ad un folto gruppo di supereroi molto dotati (i Vendicatori, appunto) e, nel frattempo, vediamo cosa ci riserva Lanterna Verde, di imminente uscita nelle sale.
Pubblicata anche su MyMovies.it

mercoledì 10 agosto 2011

The Conspirator - il "solito" buon film

Per gli amanti del classico film americano che denuncia pregi e difetti della Legge made in USA, è da poco passata nelle sale la solida pellicola dell'immortale Robert Redford.
Diretto con sobria eleganza dal vecchio mestierante e avvalendosi di un cast pregevole, capace e senza sbavature, il film ci narra il “solito” pezzetto di storia statunitense col “solito” confronto tra giustizia e verità per decidere quale delle due debba essere scritta con la lettera maiuscola.
Stavolta il tribunale che vede dibattere il "solito" avvocato idealista in difesa dei diritti umani è situato nel 1865 ed il processo si svolge contro Mary Surratt, accusata di aver cospirato per l'assassinio di Abraham Lincoln.
Di fatto, il ministro della guerra ne vuol fare un capro espiatorio per placare la nazionale sete di vendetta per la morte dell'amato presidente in assenza dell'unico cospiratore sfuggito all'arresto, il di lei figlio John.
Il verdetto è dunque già deciso e l'avvocato è costretto (prima dal suo mentore e poi dalla sua coscienza) a farsi difensore di una causa persa.
Come nella migliore tradizione, l'eroe senza macchia si trova diviso tra due ideali.
In questo caso: l'amor di Patria (è un capitano nordista appena rientrato dal fronte e fresco di medaglia al valore) e l'amore per la Costituzione, la quale sancisce il diritto ad un processo equo per chiunque, anche per un presunto colpevole.
“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, dunque e sono chiari i motivi per cui questo film, nonostante l'ottima confezione e la bravura dei suoi interpreti, non abbia avuto che una tiepida accoglienza in casa.
Da un lato, nulla aggiunge a quanto già non si sappia (sia da un punto di vista storico che di soluzioni narrative), dall'altro, è l'ennesima tirata d'orecchi di un regista per l'incoerenza dei propri connazionali: sempre pronti ad acclamare grandi diritti e, subito dopo, a calpestarli.
A Redford che dire? Si doveva fare meglio o, a questo punto, non si doveva fare affatto?
Forse. Perché il sospetto che sia un buon film, ma assolutamente inutile c'è.
Pubblicato anche su MyMovie.it

domenica 24 luglio 2011

IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA – Sopravvalutato?

Film senza fronzoli, senza giri di parole e senza colonna sonora, quest'ultima fatica dei fratelli Dardenne si preoccupa solo di andare dritta al bersaglio come un gancio destro ben assestato.
Siamo subito partecipi di una realtà ben dura da affrontare: un padre vedovo parcheggia un ragazzino tredicenne in un istituto di accoglienza e si fa negare al figlio che tenta ripetutamente di riavvicinarlo.
Thomas Doret presta il suo giovanissimo volto acqua e sapone all'arrabbiato Cyril nella sua caparbia ricerca dell'amore paterno laddove (e sembra impossibile) è destinato a trovare solo l'insormontabile muro del rifiuto.
Lui prova a scalarlo in tutti i modi, questo muro, a forza di pugni, morsi, corse e fughe.
Avrà come unica fortuna quella d'incontrare, in questo suo continuo moto selvaggio e inarrestabile, la bella e buona Samantha (Cécile De France, splendida come sempre) che decide di colmare il vuoto nella vita del ragazzino, prendendosi cura di lui e donandogli il suo affetto incondizionato, senza chiedere nulla in cambio.
Le forti tematiche di fondo – tra cui la naturale ricerca di figure di riferimento, la rabbia giovane, il pericolo di sbando quando si è soli e senza amore – vengono dipanate nel film senza mai cadere nel melenso o nello stucchevole.
Al contrario, i registi procedono con sobria durezza per tutta la pellicola, riuscendo a pieno nell'intento di tenere desta la nostra attenzione e spingendoci alla riflessione su temi assai delicati.
Per non rischiare spoiler, tralascio le considerazioni sul finale dal quale, però, traiamo il giusto insegnamento sul potere e l'importanza dell'amore parentale.
Elencati i punti di forza, non posso non contestare alcune scelte narrative che mi lasciano dubbiosa.
I Dardenne affondano, senza pietà e sistematicamente, tutte le figure maschili della storia, in una gara al ribasso: dal padre egoista e anaffettivo, al malvivente adescatore di giovani sbandati, al partner incomprensivo e poco innamorato.
Per contro, esaltano a dismisura l'unica protagonista femminile, una sorta di santa che indirizza il suo naturale istinto materno verso un ragazzino non solo sconosciuto, ma problematico ai massimi livelli.
La generosità della donna, per quanto meravigliosa, sfiora l'inverosimile poiché nasce dal “nulla”: un incontro rapidissimo e fugace tra lei e Cyril a cui mancano almeno tre o quattro inquadrature e tutto un pezzo di sceneggiatura per giustificare e rendere plausibile il suo interesse per il “caso umano”.
L'elezione a “donna dell'anno” è troppo smaccata nel suo accollarsi senza motivo non solo il caratteraccio del ragazzino, ma tutti i disastri che ne derivano, rinunciando persino alla sua relazione amorosa per curarsi di lui.
Mentre il cinema degli ultimi anni in generale e degli ultimi tempi in particolare scandaglia in tutte le sue sfumature la necessità di ritrovare un padre degno di questo nome (si vedano anche i recenti Corpo Celeste e The Tree of Life), questa madre che basta a se stessa ed è così super-brava, super-buona e super-bella ci sembra una soluzione sì rassicurante, ma un po' troppo semplicistica per colmare una lacuna di cui si sta avvertendo forte il dilagare.
Lo dico da appartenente al genere femminile: la teoria della super-donna proposta dai Dardenne non mi ha convinta e abbassa il tono del film.
Un vero peccato.
Pibblicata anche su MyMovies.it

THE TREE OF LIFE - Il dubbio esistenziale di Malick


Per la mia recensione di The Tree Of Life di Terrence Malick, vi rimando al sito posthuman.it, con un sincero grazie a Mario Gazzola che mi ha concesso spazio e disponibilità.

Buona lettura e buona visione!

martedì 12 luglio 2011

I guardiani del destino - passatempo di buona qualità

Il genio letterario di Philip K. Dick continua da decenni a fornire materiale per trasposizioni cinematografiche delle sue opere di fantascienza e noi, amanti del genere, non possiamo che essere grati agli sceneggiatori americani che ne prendono spunto per regalarci un po' di sano divertimento.
I puristi del libro/racconto trasposto fedelmente su grande schermo forse non saranno contenti di questo adattamento di "Squadra riparazioni" (Adjustment Team), che del racconto originale prende le idee di fondo, ma molto rielabora concedendosi numerose libertà.
Quando si tratta di Dick, però, non starei tanto a criticare lo stile hollywoodiano di reinterpretare di sana pianta i soggetti del grande scrittore (molto spesso visionarie ossessioni per la realtà "altra", la cospirazione dei "piani alti" e l'ingerenza di questi ultimi nella vita dell'impotente cittadino).
Il cult movie "Blade Runner", pietra miliare nella storia del cinema di SF e del cinema in generale, non sarebbe stato il capolavoro universalmente noto che è se avesse seguito pedissequamente le pagine del romanzo originale: "Do Androids Dream of Electric Sheep?"...
Non che questo precedente basti a giustificare ogni stravolgimento (anche perché non tutti sono riusciti come nel masterpiece di Ridley Scott), ma di sicuro la dice lunga sul fatto che gli americani sanno il fatto loro quando si tratta di rendere fluido, godibile e spettacolare uno show, senza per questo rinunciare alla qualità delle idee da cui lo show prende vita.

Così avviene in questo "I guardiani del destino", consigliatissimo per passare 106 minuti di gustoso relax al fresco della sala cinematografica.
Comodamente seduti in poltrona, godiamoci le corse mozzafiato
dei protagonisti per le belle vie di Manhattan.
Da un lato, vediamo sfrecciare il bravo Matt Damon - credibile anche in versione romantica e alle prese con una questione di libero arbitrio - che tenta di scappare dal disegno divino e cerca di riacciuffare il proprio destino che sembra sfuggirgli dalle mani.
Dall'altro, schizzano gli eleganti inseguitori che lavorano alacremente per mandare a posto tutti i tasselli nel "grande mosaico del fato".
L'adrenalina fa il suo dovere alternandosi ai momenti di riflessione, sparsi in giusta dose e senza mai risultare pesanti, grazie alla sceneggiatura brillante e bene interpretata e ad una buona confezione nel complesso.
Menzione d'onore, infine, ai due plagi di altissimo livello sul fronte di effetti speciali/trovate narrative: la sofisticata riedizione della Mappa del Malandrino di "Harry Potter" che qui troviamo in versione Libro del Destino, e le Porte 'Magiche' di "Monsters & Co." ugualmente usate come scorciatoia logistico-dimensionale.
Buona visione.
Pubblicato anche su MyMovies.it

CORPO CELESTE – un'opinione fuori dal coro

Questo film mi divide a metà.
Da un lato, ho apprezzato moltissimo la storia narrata, dall'altro, mi hanno lasciata interdetta e insoddisfatta le scelte operate dalla giovane regista e sceneggiatrice nel narrarla.

Andiamo con ordine.

La timida ed irrequieta tredicenne Marta è costretta, con sua madre e sua sorella maggiore, a ritornare a Reggio Calabria dopo essere vissuta nell'idilliaca Svizzera, e ad affrontare, contemporaneamente, i traumi dello sradicamento, della crescita e della ricerca di valori spirituali.

Marta cerca delle risposte fuori e dentro di sé, nel suo corpo che sta cambiando e nella sua anima, alle soglie sia di una confermazione come donna (in procinto del primo ciclo) che di una confermazione nella fede (sta per ricevere il sacramento della Cresima).

L'universo che la circonda è ostile e insoddisfacente, non la comprende ed è incomprensibile ai suoi occhi.

L'assenza di un padre terreno si avverte fortissima e la ricerca di Quello che è nei Cieli è ardua, perché la comunità parrocchiale qui descritta viene gestita in modo gretto, limitato, tutta apparenza e nulla sostanza e non si cura di riavvicinare le pecorelle smarrite (o semplicemente dubbiose e curiose) al Buon Pastore.

Il peggio del peggio della vita provinciale e del cattivo gusto televisivo la fanno da padroni e la domanda “chiave” che Marta pone per buona parte del film (“Che significa: '
Eloì, Eloì, lemà sabactàni?'”, cioè l'urlo di Gesù crocifisso “Padre mio, Padre mio, perché mi hai abbandonato?”) è destinata a trovare soddisfazione solo molto lontano dal mondo dove la ragazzina è obbligata a vivere.
Un mondo che l'esordiente regista Alice Rohrwacher ritrae in tutto il suo squallore, per quel poco che ci lascia intravedere.

La critica ufficiale osanna già in tutti i modi questa ventottenne, sorella della più famosa attrice Alba, e Corpo Celeste ha già fatto il pieno di premi e riconoscimenti.

Vista la tendenza culturale, per piacere all'intellighentia basta che l'esordiente di turno scosti un po' il velo di santa madre Chiesa ed eviti di filmare paesaggi da cartolina della bella Italia e già si grida al capolavoro.

Fatto sta che, a detta dei critici di professione, la Rohrwacher lo fa senza giudicare o denunciare e in questo aspetto documentaristico molti vedono il punto di forza del film.

Al contrario, per me ne costituisce il punto debole, specialmente nella sceneggiatura che di Marta non ci racconta altro che la sua vita tutta “casa e chiesa”, letteralmente.

Non sappiamo null'altro di lei come se nient'altro esistesse, come se non vi fossero altre sfumature. Minimalismo elevato all'ennesima potenza, fino all'inconsistenza.

Cosicché, passato lo sdegno per come viene svolto il catechismo nelle città del sud (e qui molti saranno indotti a pensare che sia così in tutta la nazione) e per quanto è degradata Reggio Calabria, di tutta la sostanza di Marta ci resta poco in mano.

Tolto il tema coraggioso (il desiderio di una spiritualità più profonda), ricorderemo solo la splendida direzione degli attori (tutti bravissimi, dai pochi volti noti fino alle comparse, passando dalle due rivelazioni Yle Vianello/Marta e Pasqualina Scuncia/Santa, la catechista), la fotografia buia e sgranata e il campo visivo stretto, appiccicato al collo dei protagonisti (perché si sa che pellicola sgranata/presa diretta/inquadratura stretta fanno tanto degrado/neo-neo realismo/tormento interiore).

E un'unica, evidente certezza: che Alba Rohrwacher non lavora per la pro-loco di Reggio Calabria.
Pubblicato anche su MyMovies.it

domenica 12 giugno 2011

HABEMUS PAPAM - grandiosa umiltà ad un soffio dal capolavoro

Due gli elementi di meritato successo nell'ultima fatica del grande Nanni: la straordinaria interpretazione di Michel Piccoli e l'esaltazione di una qualità ormai perduta (nella società e, in particolare, nella politica), ovvero l'umiltà.
Solo i grandi uomini e i santi, oramai, la posseggono.
Così Moretti, nostalgico di un “color rosso” che abbia ancora un senso profondo dei limiti della propria umanità, non può che rivolgere la sua attenzione al rosso cardinale per trovare una lezione di vita su come al potere si possa anche rinunciare.
Ma, attenzione.

1. L'esile trama si regge tutta sulle spalle curve del meraviglioso Piccoli, un tutt'uno con l'angoscia ed il tormento che il suo personaggio (un cardinale che vuole rinunciare alla sua investitura come Papa) vive e che ci trasmette in pieno.

2. L'intensità drammatica dei momenti che lo vedono protagonista sono sapientemente alternati da gustosi siparietti dove la comicità del regista-attore è davvero irresistibile.

Quindi, al di là della riuscita narrativa, la trama è esile e i siparietti distolgono l'attenzione da quello che poteva essere un vero capolavoro.

Se aggiungiamo la scelta precisa di lasciare la conclusione tutta alle riflessioni dello spettatore, certo è forte la sensazione che manchi qualcosa.

Ad esempio, il neo-eletto Papa afferma che la sua rinuncia (meravigliosa espressione di umanità ed umiltà, appunto) non è dettata da una crisi come credente.

Ahimè un poderoso controsenso, poiché si presuppone che un qualunque cattolico e, a maggior ragione, almeno un cardinale, una volta riconosciuti i propri limiti, si affidi a Dio per superare le prove più ardue, pur nella pochezza dei propri mezzi come uomo.
Solo se la sua fede in Dio viene meno, non vorrà affrontare il compito che gli è stato affidato.

Ma qui Moretti, credo volutamente, rinuncia ad addentrarsi nelle questioni di fede. Rinuncia dunque a scavare più a fondo e si limita ad offrirci un breve, troppo breve, spaccato di vita di un uomo di fronte ad un bivio.

Offerta la lettura di un invito di rinuncia allo stra-potere confezionato su misura per la nostra vecchia classe dirigente, il mitico Nanni si ferma giusto un attimo prima di andare oltre.
Un vero peccato.
Ad andare un pochino più in là e più in profondità, questo film sarebbe stato davvero da Oscar.

lunedì 14 febbraio 2011

IL DISCORSO DEL RE – Da non perdere

Affrontando i bio-pic si corrono spesso due rischi.
O ci si può trovare di fronte ad un film terribilmente barboso, che ripercorre in modo piatto e senza ingegno la vita del personaggio di turno, oppure ad una pellicola strappalacrime ed enfatica fino alla nausea, dove il suddetto personaggio è eroico e senza macchia a tal punto da farci dubitare che sia davvero umano.
Con Il Discorso Del Re entrambi questi pericoli sono stati scongiurati nel modo più brillante che abbia mai visto.
Già dalla primissima, originale inquadratura di un microfono radiofonico degli anni '30 (anch'esso in qualche modo tra i protagonisti), la semi-sconosciuta storia di re Giorgio VI d'Inghilterra ci conquista in modo definitivo.
Incorniciata nello stretto lasso di tempo di pochi, ma cruciali anni (quelli che porteranno alla sua ascesa al trono e all'ingresso della Gran Bretagna nella Seconda Guerra Mondiale), la vita di un reale di grande dirittura morale e profonda umanità ci viene mostrata nella sua duplice lotta: contro il peso delle responsabilità e contro la propria “inopportuna” balbuzie.
La regia ci aiuta con le sue angolature stravaganti a renderci partecipi delle situazioni narrate, ricche di straordinarietà nonostante si tratti di fatti reali.
Senza un solo momento di noia o un singolo tempo morto, la sceneggiatura dosa in modo sapiente dramma e humor inglese espresso ai più alti livelli, tratteggiando sia il contesto storico in modo comprensibile, con accenni mirati e mai ridondanti, che la famiglia reale in maniera credibile, seppur “cinematograficamente”.
E “dà voce” alla magistrale interpretazione di Colin Firth nel ruolo del giovane re “Bertie” che vincerà il suo blocco psicologico grazie ad un altro incredibile (ma storico) personaggio, l'australiano Lionel Logue, esperto di difetti del parlato.
Col volto dell'istrionico Geoffrey Rush, superlativa spalla, troveremo in lui l'amico eccezionale e impagabile che ognuno di noi vorrebbe avere e che toccò in sorte a colui che fu costretto a trascinare la sua Nazione in battaglia con un toccante discorso radiofonico.
Da non perdere. E da rivedere: in lingua originale.

giovedì 27 gennaio 2011

TAMARA DREWE – Inghilterra, mon amour

Chiaro che dal regista Stephen Frears (che vanta titoli come My Beautiful Laundrette, Le Relazioni Pericolose, The Queen), uno si aspetterebbe di più, ma questa s-garbata commedia very English style è forse meno peggio di quanto si potrebbe credere.
L'eroina del titolo è già eroina di un fumetto, solo ora pubblicato in Italia, la cui trama rielabora gli intrecci di Via Dalla Pazza Folla, opera di Thomas Hardy dove la protagonista è contesa tra 3 pretendenti sullo sfondo della lussureggiante campagna inglese (si veda anche l'omonimo film del '67).
Pure in questa pellicola gli scenari campestri ci deliziano gli occhi, nel corso di quatto stagioni... mentre gli sguardi dei protagonisti maschili sono quasi tutti puntati sulle cosce da paura della brillante Tamara.
Ed è subito scompiglio.
Tornata allo sperduto paesetto natio con un nasino nuovo di zecca, una promettente carriera di giornalista in quel di Londra e un romanzo autobiografico nel cassetto, imbastirà un tira-e-molla col fascinosissimo amore adolescenziale, strapazzandosi prima un famoso batterista-rock star di passaggio e poi un laido romanziere da giallo seriale che l'aveva rifiutata da ragazzina.
Il tono brioso della trama sembrerebbe perfetto per una classica produzione americana (non escludo un remake, n. d. r.), ma è probabile che con lo stra-visto made in USA rischia di perdersi quel tocco di puro sense of humor inglese che, misuratamente ma implacabilmente, batte dove il dente duole.
In questo caso, batte sulla categoria degli scrittori e picchia duro, anche, senza risparmiare colpi.
Ne escono massacrati come farabutti, egoisti, tronfi, pavidi, opportunisti, invidiosi, bugiardi, “mezze seghe”.
Una vera ecatombe. :-)
A redimerli quel tanto che basta per non ritenerli tutti da buttare, c'è proprio la bella Tamara, pure lei facente parte della categoria, ma tutto sommato eroina romantica capace di sterzare dopo essere uscita fuori pista e per cui è impossibile non fare il tifo.
Molto riusciti i “siparietti” delle due adolescenti annoiate di provincia e i dialoghi che svelano il lato oscuro di chi è arso dal sacro fuoco della scrittura.
Nel complesso, davvero godibile.
Pubblicata anche su MyMovies

mercoledì 26 gennaio 2011

CHE BELLA GIORNATA - ?

Ora che l'hanno visto tutti, ma proprio tutti, lo posso anche dire: questo film è sopravvalutato e mi è piaciuto di più Cado dalle nubi.
Per il successo del grande Checco sono più che felice, intendiamoci: uno che, fin dagli esordi, è capace di far soffocare dalle risate la destra e la sinistra mentre ci sfotte per quanto siamo razzisti, omofobi, retrogradi, mafiosi, ignoranti, opportunisti e chi più ne ha più ne metta, la gloria la merita di default.
Ma, al di là dei pregi comico/intellettuali del mitico Luca Medici, questo film, in sé per sé, non è altro che una graziosa commedia dove i tre quarti delle migliori gag sono già contenuti nel trailer e dal restante quarto mi aspettavo qualcosa di più graffiante, più “alla Zalone”, più divertente, a dirla tutta.
I toni si sono di molto moderati rispetto alla precedente pellicola: ne ha guadagnato giustamente l'intreccio della trama che si è un poco evoluto, ma quella cattiveria inimitabile che ci costringeva a ridere a crepapelle mentre ci pugnalava alle spalle si è stemperata fin troppo.
Agli italiani, evidentemente, questo è piaciuto (record d'incassi con quota 31.479.000 euro al 17/1/11), ma alla sottoscritta un po' meno.
Pubblicata anche su MyMovies

domenica 23 gennaio 2011

HEREAFTER – capolavoro mancato

Nonostante la grandissima commozione e il grande coinvolgimento che questa pellicola sa suscitare, Hereafter non è privo di difetti.
Come già per il precedente Invictus, noi fan del grande vecchio Clint, rischiamo di uscire dal cinema dicendo:
“Beh...non è Gran Torino.”
Traduzione: non è quel capolavoro che potevamo aspettarci.
Su un piatto della bilancia mettiamo innanzi tutto quello che c'è di buono e, a ben vedere, troviamo parecchi ingredienti, ognuno di qualità sopraffina.
L'inizio del film è travolgente, proprio come lo tsunami messo in scena.
Ci sembra di vivere quegli attimi di panico assoluto come la protagonista. Un gigantesco fiume d'acqua ci trascina via insieme a lei.
Brandelli di “realtà” vengono colti un po' in soggettiva un po' no, con un mirabile impatto d'insieme (grazie a regia/effetti speciali/montaggio/suoni) che porta la nostra compartecipazione a livelli quasi intollerabili, tanto che ci ritroviamo come Marie (giornalista francese vittima della catastrofe) sopraffatti e sospesi tra la vita e la morte.
Questo incipit spettacolare, con la mano felice di Eastwood che si estende anche su una grandiosa scena d'esterno, ci introduce in realtà ad film di introspezione, silenzi, solitudine e mistero dove le storie di tre vite (Marie la sopravvissuta, Marcus il gemello spaiato e George il sensitivo) sono fatalmente portate ad incrociare i loro destini.
La vita dopo la morte e il possibile ritorno da quest'ultima (Near-Death Experiences) è il pretesto per unire queste vite, così distanti tra loro sia geograficamente (Parigi, Londra e San Francisco) che umanamente (lei brillante, ricca e famosa, il bimbo con gravi problemi familiari, il sensitivo in profonda crisi esistenziale).
E' questo che contribuisce a sbilanciare l'attenzione dello spettatore.
Da un lato, in special modo nella prima parte, il film prosegue magistralmente, lasciandoci il tempo di assaporare tutto il gusto dell'introspezione che sa ispirarci, con classe, eleganza, grande emozione.
Dall'altro, crea grandi aspettative, come grandi sono i dubbi e le domande su cui ci induce a riflettere, per poi disattenderle nel secondo tempo con in più un finale che, a parer mio, arriva troppo presto.
Intendiamoci: è un grande pregio di questa pellicola presentare (e con lo stile meraviglioso di Eastwood) determinati argomenti e non è certo compito del regista rispondere pedagogicamente a siffatti misteri.
Ma l'assenza di un buon quarto d'ora di film per scavare ancora più a fondo pesa sulla citata bilancia come un macigno.
Sul fatto che poi la conclusione “di maniera” fosse l'unica possibile si potrebbe ancora discutere: di sicuro era l'unica auspicabile sia per l'ottimo e convincente Matt Damon (George il solitario) che per la bella e brava Cécile De France (Marie la rinata).
Pubblicata anche su MyMovies

sabato 8 gennaio 2011

MEGAMIND – quando non basta essere perfetti

L'azzurro protagonista di questa pellicola, super-malvagio solo in teoria (poiché da subito si capisce che la sua cattiveria non è innata, ma è frutto del casuale influsso dell'ambiente circostante), possiede un'intelligenza talmente perfetta che da sola potrebbe valergli la conquista della felicità.
Ma, come imparerà a sue spese, avere tutto non basta.
Così pure noi spettatori impareremo la stessa lezione a nostre spese, ovvero: pur trovandoci di fronte ad un'ottima pellicola, ci accorgeremo che la straordinaria confezione non basta a soddisfarci del tutto.
Da un punto di vista tecnico, questo film d'animazione è ineccepibile.
Basti pensare alle accattivanti meraviglie tecnologiche, frutto di infiniti rimandi a cinema/fumetto/animazione di genere, alla simpatia dei personaggi dai grandi occhioni o alla particolare cura nella riproduzione della luce che esalta la resa scenografica dell'insieme.
In egual misura, risulta impeccabile la trama, anche questa imbastita intorno ad appropriate citazioni per cinefili e raffinati cliché fantascientifici, il tutto condito dalle più classiche gag della migliore commedia americana.
Il limite nella riuscita del film sta proprio in tutta questa “perfezione” che appare fin troppo costruita a tavolino e fin troppo ricca e artificiosa. Difficile appassionarsi veramente a questa girandola di già visto sebbene sia curata in ogni minimo dettaglio.
Qualcosa di piacevole e divertente i bambini lo troveranno comunque e probabilmente vi diranno che il film gli è piaciuto, ma risate sguaiate e occhi sognanti o aggettivi superlativi come un semplice “bellissimo” non potranno mai essere attribuiti a questo MEGAMIND che, con tutte le migliore intenzioni, non supera le tre stelle.
Pubblicato anche su MyMovies

giovedì 6 gennaio 2011

HARRY POTTER e i Doni della Morte - Parte I

La furbata di dividere in due l'ultimo capitolo cinematografico della saga di Harry Potter per raddoppiare gli incassi al botteghino, marciando sulle aspettative dei fan, va presa per quel che è: un'ottima operazione commerciale messa in atto da chi sforna film per fare soldi.
Sdegnarsi è inutile. Anzi.
Superata la scocciatura di dover pagare due volte l'esorbitante prezzo del biglietto, a noi appassionati di fantasy della prima ora questa scelta non deve dispiacere più di tanto.
Raddoppiando anche il tempo a disposizione per raccontare in immagini l'universo di lady J. K. Rowling, non avremo più modo di lamentarci per i dolorosi tagli a passaggi fondamentali e per gli spaventosi buchi di sceneggiatura messi tristemente in atto nel precedente H. P. e il Principe Mezzosangue.
Fatte comunque un minimo di concessioni al linguaggio e all'impianto drammaturgico del grande schermo rispetto al testo scritto, questa prima parte de I Doni Della Morte risulterà alquanto soddisfacente.
Ritmi e atmosfere sono abbastanza aderenti al libro, le scene chiave vengono rispettate, la fotografia è ottima, gli effetti speciali non prendono il sopravvento a discapito della storia (che, va detto, a questo punto è comprensibile solo a chi ne sa già qualcosa) e alcune soluzioni visive sono addirittura eleganti, come la mirabile sequenza animata della fiaba dei tre Doni.
La recitazione del protagonista è ancora una volta al di sotto delle aspettative e la bella Emma Watson riesce sempre (ma ci vuol poco) a rubare la scena ai suoi coetanei proprio come il suo personaggio Hermione fa di default nei libri, ma tutto il resto merita di essere visto.
E, a quasi due mesi dall'uscita, è ancora possibile farlo in qualche cinema.

domenica 2 gennaio 2011

RAPUNZEL – la “magia Disney” si rinnova

E va bene: cantano.
A Roma c'è il Colosseo, a New York la Statua della Libertà e nei cartoni Disney le canzoni: sono realtà inamovibili.
Paghiamo il piccolo dazio alle inevitabili performance musicali sempre con la stessa sequenza (eroina/strega/coro da taverna/duetto) e andiamo oltre.
Non ce ne pentiremo.
L'originale Raperonzolo dei Fratelli Grimm è un'altra cosa, ma la rivisitazione della fiaba è lo stesso ben riuscita, con una sceneggiatura dinamica e brillante da un lato, tenera e poetica dall'altro, proprio con quel giusto equilibrio tra divertimento e spunti di riflessione non sempre facile da raggiungere.
La conversione alla computer-grafica nell'elaborazione dei fondali e nei particolari non toglie troppo al magico tocco del “disegno alla Disney” e anzi lo arricchisce nello spettacolare tripudio di dettagli e virtuosismi scenografici, vera festa per gli occhi.
La resa dei personaggi è convincente, la coreografia delle scene d'azione è ritmata a puntino, la cura delle espressioni facciali e dei dialoghi da brioso action-movie è ottimale.
Anche gli immancabili animali che affiancano i protagonisti sembrano rinnovarsi in un più moderno omaggio alla caratterizzazione in stile Anime giapponese, specialmente nel camaleonte “da compagnia” di Rapunzel, mentre il temibile destriero da battaglia Maximus, che fa da nemesi al fascinoso ladro Flynn Ryder, è uno spassoso e godibilissimo mix tra famosi predecessori equini (primo fra tutti il cavallo Sansone de La Bella Addormentata Nel Bosco) e un integerrimo cane poliziotto.
Non c'è dunque da restare delusi ed è perciò consigliata la visione di questo 50° film animato della storica casa cinematografica... perlomeno in dvd, dato il ritardo di questa mia recensione.