Soltanto Pee-wee's Big Adveture e
Sweeney Todd sfuggono al mio carnet per poter affermare di
aver visionato la filmografia completa di Tim Burton.
A dispetto delle due lacune posso comunque dire di aver accresciuto di pellicola in pellicola il mio amore verso il caleidoscopico regista.
A dispetto delle due lacune posso comunque dire di aver accresciuto di pellicola in pellicola il mio amore verso il caleidoscopico regista.
Non ho però trovato soddisfacente il
suo penultimo film, Alice in Wonderland
(tanto ricco di sfarzo scenografico quanto povero di guizzi davvero
sorprendenti), e ugualmente scorgo qualche mancanza nell'ultimo DARK
SHADOWS.
Per la sua 15a pellicola, il regista di
Edward Mani di Forbice, Mars Attacks, Big Fish,
sceglie la “celebrazione” e lo fa alla sua maniera.
Celebra innanzitutto la soap opera
dall'omonimo titolo “Dark Shadows”, cult in America alla fine
degli anni '60, rinverdendone i fasti su grande schermo.
Al contempo, celebra i protagonisti
must del genere horror e delle fiabe – streghe, fantasmi,
vampiri, sortilegi...
Poi celebra la famiglia – vagamente
tendente alla famiglia Addams, ma altrimenti che Burton sarebbe?
Infine celebra gli anni '70 – in
particolare con una colonna sonora da urlo (compreso un cameo tutto
da scoprire) e un piglio modaiolo anzi che no.
In tutto questo celebrare, che di
sicuro coinvolge, affascina, strega (per rifarci alla trama),
dimentica i toni del dark più puro e originale sfoggiati ne Il
mistero di Sleepy Hollow.
Così,
laddove molti vedono in questo film un Tim Burton più maturo
e consapevole, io lo trovo solo un po' più affannato a rifarsi il
verso.
Se in alcuni tratti viene da dire
“Eccolo, il solito vecchio Burton” sorridendo compiaciuti,
in altri ci viene da dire “Eccolo, il solito vecchio Burton”
ossia, ok, è sempre lui, mai in questo film cosa c'è di nuovo?
Niente, con mio rammarico.
Guardo sempre tanto volentieri le
favole dark trasposte su grande schermo con maestria e godo della
bravura degli interpreti come la Pfeiffer o il mio adorato Johnny
Deep che si esibiscono impeccabili al loro solito, però qui si
manca di freschezza e il rischio è di scadere nel manierismo (a
dispetto dell'acrobatica scena di sesso sulle note di Barry White).
In una frase: godibile senza
sorprese.
Peccato.
A sorpresa godibile è invece
CILIEGINE, prima fatica da regista della nostra Laura Morante.
Lì dove Burton ha scelto la via
rassicurante di non regalare niente di nuovo allo stile suo marchio
di fabbrica, la Morante sceglie di cimentarsi con la difficile arte
della commedia e la novità sta nello scoprirla sceneggiatrice e
regista oltre che attrice, capace di calibrare i toni su tre diversi
fronti contemporaneamente, mantenendosi in equilibrio e senza
scivoloni.
Regge il ritmo la sceneggiatura,
divertente nei punti giusti che regala una buona dose di sorrisi a
una commedia degli equivoci classica senza essere del tutto scontata.
Regge il ritmo registico, con
l'evidente capacità della Morante di dirigere bene i suoi colleghi
francesi, tutti decisamente in parte e a loro agio.
Regge la Morante protagonista,
credibile nel personaggio che si è ricavata di donna continuamente
insoddisfatta delle sue relazioni poiché alla ricerca dell'uomo
perfetto e incapace di tollerare la minima imperfezione nei suoi
partner.
Promossa dunque e con buona media la
regista di casa nostra alla sua prima prova dietro la macchina da
presa.
E Burton è bocciato? Ma no, lo
rimandiamo solo a settembre. In DVD.